Partiamo di notte, da una stazione di metro della linea gialla di Milano, gialla come i lampioni che ci lasciamo alle spalle per entrare in autostrada, destinazione, L'Aquila.
Stiamo andando all'Incontro Nazionale dei volontari di Emergency, che quest'anno ha scelto questa città, per farcela vedere, a noi e a tutti quelli a cui la racconteremo una volta tornati, per non dimenticarla.
Perchè tutto lì si è fermato a una notte come questa in cui noi partiamo, ma TRE lontanissimi anni fa.
Cosa facevamo tre anni fa? Cosa eravamo tre anni fa? In questi giorni mi sono chiesta, ma loro, gli Aquilani, riescono a rispondere a questa domanda, o tutto è rimasto sospeso dal non sentire la differenza?
Quando mi sveglio sul pulman verde speranza che ci porta in Abruzzo, sono le 6.45 del mattino, e un sole rosso e tondo mi punta la faccia, non dormirò più. Scendo, insieme ad altre 100 persone e ci fiondiamo in un autogrill di 20 mq che ha fatto giornata in circa 20 minuti, si riparte, la prossima fermata è Piazza Duomo, a L'Aquila.
E all'inizio faccio fatica a soffermarmi solo sui nostri tendoni, sugli allestimenti, sulle persone che come noi si sono ritrovate lì per questi tre giorni dedicati a Emergency.
Sono le crepe ad attirare i miei sguardi, i ponteggi, le travi che sostengono finestre senza vetri, pezzi di muri e di case sparsi a terra, una città dilaniata dalla natura prima e dall'indifferenza dello stato poi.
E' difficile raccontare dell'Incontro senza parlare dell'Aquila e viceversa. E' difficile quando sono lì, dividere le due cose, anche solo nei pensieri. Poi mi rendo conto che questo era lo scopo, la grandezza dell'idea di volere essere qui, nell'anno in cui Emergency è diventata maggiorenne.
Attraverso un centro chiuso, fatto di saracinesche abbassate, portoni divelti da cui si intravede la vita lasciata lì, in attesa di una ricostruzione che non è ancora cominciata, e chissà quando. Ascolto racconti della vita provvisoria delle persone che sono state costrette ad abbandonare questi muri per trasferirsi in quelli finti fatti di legno/polistirolo/cartongesso, questa è la sequenza in cui sono state costruite le "nuove cittadine" logate ministero dell'interno.
L'Aquila è abbandonata. A se stessa. Ai suoi cittadini, ai suoi cani, ai suoi resti, orfani di mura e di stato.
E' una sensazione diversa da quella dell'Incontro dell'anno scorso, che mi pervade.
Percepisco la pesantezza di questo luogo antico, di ciò che trasuda ancora, dai bar abbandonati coi piattini sui banconi, ai panni stesi ad asciugare da tre anni. Come se fossero intrisi di lacrime mai asciugate.
Lo sento diverso perchè quest'anno ho sentito parlare Gino Strada dal vivo. Era la prima volta che lo vedevo, e ascoltarlo mi ha aperto una voragine allo stomaco. No, non era fame. Era qualcosa che ha a che fare con un processo simile a quello dell'immedesimazione: mi sono sentita coinvolta personalmente dalle sue parole, dal tono che gli dava, dalle espressioni del suo viso disgustato da ciò che ogni giorno è costretto a vedere. Dallo sguardo spietato con cui combatte la guerra.
In quel momento ho capito perchè era importante essere a L'Aquila, un posto dove la guerra esiste. E non solo perchè sostano i carri armati dei militari che controllano gli accessi alla zona rossa.
La guerra dell'Aquila è silenziosa come le sue strade, densa come i mobili accatastati fuori dalle sue case, senza scrupoli come chi la vuole affossare e nascondere al resto dell'Italia.
Emergency è venuta all'Aquila per dare un segno, perchè si ricominci a parlare di questa ferita mai guarita.
Conoscevo l'Abruzzo fino al 7 settembre solo per gli arrosticini. Ora so che l'Abruzzo è dolore, è forza, è voglia di ricominciare, è necessità che qualcuno, LO STATO, faccia qualcosa per la sua gente.
Che non permetta alle persone di abbandonare le proprie case.
Che si faccia garante CONTRO le speculazioni, e le corruzioni che silenziose accerchiano e dominano le mura di questa splendida città.
Emergency all'Aquila ha fatto ciò che cerca di fare ovunque si presenti: curare.
Esserci, è stato come curarla un pò, ridarle un battito nuovo, che sapeva di musica, di parole, di rumori, casse, microfoni, voci, passi.
Sta a noi, e con noi intendo noi italiani, noi stato, noi comunità e noi persone a cui potrebbe succedere domani, di non dimenticarla, non lasciarla in silenzio.
Mi sono portata via parecchio da questi tre giorni. Un bottino personale che mi rende orgogliosa di aver voluto esserci. Di esserci stata.
incontri con persone per cui provo profonda stima
Massimo Grimaldi, e la commozione per le sue parole timide ma piene di vero
Erri de Luca, e la sua pacca sulla mia spalla
formaggi, e salumi, e biscotti, e magliette di Emergency per le persone che amo e che mi aspettano a casa
quella sana invidia nel sentire parlare medici, infermieri e logisti della vita in missione per Emergency. quella che ti viene perchè capisci quanto sia grande ciò che fanno, e vorresti saperlo fare anche tu.
averne il coraggio, anche.
una donna afghana, che non poteva lavorare nel suo paese, prima di incontrare Emergency
Gino Strada, per essere ciò che è. Un uomo grande. con le mani grandi. e i pensieri grandi.
Fiorella Mannoia che non riesce a cominciare la sua canzone, perchè le lacrime non sono ancora finite, qui a L'Aquila.
Sono ancora panni stesi ad asciugare.
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