lunedì 14 febbraio 2011

se non ora, quando

bene, ieri c'è stata l'attetissima manifestazione di "se non ora, quando".
non mi piace chiamarla la manifestazione delle donne, perchè non credo sia stato solo questo.

ho visto nascere questo giorno in una serata al teatro Parenti di Milano, a cui avevo partecipato quasi per caso, insieme a mia sorella. c'erano due attrici italiane, un dialogo fitto e serrato tra due donne che impersonavano diversi modi di vivere l'essenza e la condizione di donna appunto, e una discussione aperta al pubblico, in cui uomini (pochi) e donne intervenivano più o meno a proposito.

(Mi sono ripetuta che il retaggio culturale in cui si cresce fa sempre la differenza. ma questo argomento meriterebbe come minimo un altro post in dedicata.)

A fine serata, ero contenta di aver messo in moto il cervello su cose su cui ci si sofferma poco spesso, a volte, se non costrette da situazioni personali o comunque di una certa vicinanza.
E idealizzavo che questo fosse il primo passaggio di un progetto che ci si auspicava di vedere a medio termine. Ho firmato per essere informata delle iniziative che si sarebbero tenute a seguire, pensando, purtroppo a causa della mia diffidenza, che sarebbe stata l'ennesima cartella di archivio in cui spostare nuove newsletter.
Mai avrei pensato che sarebbe diventato un giorno di condivisione così grande, qualche mese dopo.

e invece, è stato bellissimo vedere quelle parole diventare facce vere di tutte le piazze d'Italia ieri.
mi sono sentita di aver fatto parte di qualcosa che può davvero cambiare, diventare consapevolezza autentica di un valore condiviso, se ci si crede davvero.
e queste donne ci hanno creduto, già da quella sera.

Non ero in piazza ieri, ma ci sono stata, in un certo senso.
Al mattino ho accompagnato mia sorella alla partita di pallavolo. Avvistiamo dalla macchina due vecchiette che camminano per la strada di un paesino sperduto di montagna, avvolte nella nebbiolina si sorreggevano braccio al gomito, parlottavano in dialetto munite solo di gengive.
si vedeva che era dialetto dallo sguardo. dagli occchi, proprio.
allora le dico, queste siamo io e l'Angela da vecchie, ci vedi? ridiamo.

Dopo pochi metri, troviamo uno striscione che dice che noi donne siamo esseri superiori, che non vogliamo fare parte dei bunga bunga di chi non ci rispetta.
e ho pensato alle due vecchiette, e mi è piaciuto tantissimo pensare che quello striscione alto 1 metro e mezzo l'avessero appeso loro. che qualche nipote le avesse aiutate a scriverlo con le bombolette spray, che qualche altro nipote gliel'avesse appeso a quel muro a strapiombo su una strada deserta, che l'avessero riletto e ne avessero riso, sempre e solo con le gengive ovviamente.
Sempre per via della mia diffidenza, scarto la fantasia e ricollego la realtà.

Ma pur facendolo, in quel momento mi sono sentita che qualunque donna può e deve riconoscersi in qualcosa, qualcuno che lotti per lei. in un movimento che la salvaguardi, la rispetti, la faccia ridere e pensare. che le metta davanti le cose per ciò che sono, senza abbellimenti, senza bugie. l'onestà intellettuale è qualcosa che ci dobbiamo. Questo ho pensato, che fossero state loro oppure no.

perchè noi donne abbiamo la forza, se la cerchiamo, se la vogliamo, se ce la sentiamo addosso, di diventare più grandi delle nostre debolezze, più in alto di chi ci vuole sotto, più spostate di chi ci vuole agglomerate in qualcosa che non siamo noi.

in questo momento di schifo che sta attraversando la "politica" italiana, quello che è successo ieri deve per forza diventare un segnale.

perchè è ora.
e se non ora, quando.

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