Ieri sera, quando sono arrivata, mi hai accolto come sempre, sempre con i tuoi piangetti alla porta, i tuoi strusciamenti sulle gambe, mille saltelli in aria a due zampe.
Senza sapere, neanche lontanamente immaginare, il motivo del mio arrivo in una domenica sera di novembre, nessuna festività in agguato.
Normale, per chi non conosce il concetto di tempo, ma solo di cose da fare nel tempo che c'è.
Ieri era il giorno del tuo quarto compleanno, ti dicevo ironicamente mentre ti coccolavo sul divano, domani te la fanno davvero la festa. Ti ho dato la buonanotte cercando di spiegarti cosa sarebbe successo il giorno dopo, sembravi capire, a volte sembravi semplicemente fregartene, mi guardavi come per dire, ma che cazzo stai dicendo.
E stamattina siamo partiti, io te e la mia clio grigio scassata, mi guardavi da dietro, nel trasportino, cercando di capire dove dovessimo mai andare di lunedì mattina, noi due che quando siamo in viaggio insieme di solito si parte a un'ora più decente, con un umore più decente. Allora ho cercato di farti scodinzolare, ti chiamavo in tutti i modi che conosco, con voce artigianalmente allegra.
Andiamo in clinica per farti togliere delle cisti che queste si, sono davvero ai confini della decenza; un intervento normale, niente di preoccupante, ci sarà un pò di post da fare a casa, ma poi starai bene.
Giuro nè.
Quando arriviamo in clinica hai già capito tutto, sento il guinzaglio tirare, gli odori ti salgono al naso come schegge e cominci a fare lo show dell'insofferente: non ti piacciono i dottori. Come ti capisco, pizzi mio.
Parlo con la veterinaria, parliamo di te, del prima, del dopo, di come ci dobbiamo muovere, che tipo di punti ti deve mettere. Sento le difese che cominciano a cedere, mi ero ripromessa di non fare scenate più o meno lacrimevoli, in questo preciso istante non so se riuscirò a tenermi fede.
Mentre mi parla da dietro il bancone, tu salti, come ieri sera, per vedere se sono ancora lì.
Difese che scricchiolano.
Mi dice, ti chiamo quando esce dalla sala, poi puoi venire a prenderlo stasera; eccolo, è arrivato.
Il momento tragico del saluto. Nascondo la faccia sotto il cappello di lana, mi avvicino per baciarti, e tu ti avvicini per un ultima coccolina appena sotto le orecchie, il tuo punto preferito, nella piega cartilaginosa tra orecchio e collo. Non fossi un cane senza neanche le palline, penserei sia il tuo punto G.
Io e le mie lacrime usciamo, non facciamo rumore, ci nascondiamo entrambe nella pioggia di questa mattina che descrive il mio umore, per niente decente.
Non ho neanche dovuto metterti la museruola, e questa cosa mi ha fatto sentire anche peggio. Perchè sei stato bravo e noi pensavamo di no.
Verso l'una mi ha chiamato la clinica, il tuo intervento è andato bene, sei tutto fasciato e ciondolante, ora ho una sola deadline in questa giornata interminabile: ore 19, tornare da te.
Entriamo con Annagi e la Cips, la vet ci porta la tua cartella, c'è scritto sopra Bertocchi Bignè. Annagi sorride orgogliosa, ora anche lei dà il suo cognome a qualcuno, ha detto.
Torna dopo pochi minuti con te, che come al solito entri per primo nelle stanze, tutto fasciato dal collo in giù, un piccolo torello vestito da mummia che ci scodinzola e struscia addosso.
Le mie difese scricchiolanti hanno ormai ceduto alla fine di questa giornata, cerco di tenerle a bada più che posso, le rimando a più tardi, quando saremo a casa io e te e potremo essere ciò che siamo e come vogliamo.
Appena siamo arrivati a casa, ti sei fiondato sul divano, sul tuo posto, sei stato lì al buio e da solo finchè non abbiamo apparecchiato a tavola, come se dovessi riprenderti del tempo per te. In casa tua.
Ti ho ammirato, in silenzio, per questo comportamento che noi umani forse non saremmo in grado di avere.
E ora, niente, siamo qui. Sdraiati sul divano, come ieri sera. Ti sei accucciato qui in cerca delle coccoline che abitano appena sotto il tuo orecchio. Quelle lì, che sono le tue. Alla tele danno una serie tv che vedo ma non guardo, osservo i punti neri delle cicatrici, le zone spelacchiate dalla lametta, il pelo che ti si gonfia per via della fasciatura grossa e ti fa somigliare a un gremlin. Ti parlo, ti prendo in giro.
Ti ascolto in sospiri profondi e piccoli gemiti, mentre ti abbandoni al riposo.
Sei stanco, e anche io, voglio solo stare qui così, sapere di esserci stata oggi, e sapere che tra poco starai bene.